Neuroplasticità e Riabilitazione: il legame che potenzia il recupero

Ma cos’è esattamente la neuroplasticità e quale ruolo ha nella riabilitazione post-ictus? E soprattutto, come il sistema nervoso centrale (SNC) riesce ad adattarsi dopo un evento devastante come un ictus?

INTRODUZIONE

Immaginate di svegliarvi un giorno e scoprire che i movimenti abituali, quelli semplici come alzare una tazza o camminare lungo il corridoio, sono diventati sfide titaniche.
Improvvisamente, la vita è cambiata radicalmente a causa di un ictus che ha colpito senza preavviso. Quel momento rappresenta l’inizio di una battaglia contro le proprie limitazioni fisiche per riconquistare ciò che era stato dato per scontato fino a quel momento.

L’apprendimento motorio e la plasticità del Sistema Nervoso Centrale (SNC) sono i protagonisti nascosti della battaglia per riprendersi da una lesione cerebrale.
Lo sapevate che milioni di persone ogni anno affrontano questa sfida per cercare di riconquistare l’autonomia perduta? In questo articolo scoprirete come gli studi più recenti stanno gettando nuova luce su questi processi biologici spesso sottovalutati, delineando nuovi orizzonti nella riabilitazione post-ictus.

Conoscere a fondo l’apprendimento motorio e la capacità del nostro SNC di adattarsi alle avversità non è solo una questione scientifica; si tratta anche – forse soprattutto – dell’impegno umano nel superare le proprie limitazioni. Entriamo insieme nell’affascinante mondo della neuroscienza applicata alla riabilitazione, dove scienziati, riabilitatori e pazienti lavorano fianco a fianco per raggiungere traguardi impensabili fino a poco tempo fa; Immergiamoci allora nella storia avvincente sulla resilienza umana, la forza dell’apprendimento continuo e l’incredibile capacità del nostro cervello di trasformarsi anche nei momenti più difficili della nostra vita! Scopriremo come persone colpite da ictus possono riguadagnare progressivamente le loro funzioni motorie e abilità attraverso processi complessi d’apprendimento mediati dalla plasticità neuronale.

Il nostro SNC infatti ha l’enorme potere di sapersi adattare alle nuove condizioni imposte da questa situazione critica.

INDICE:

Fattori che influenzano la plasticità cerebrale dopo un ictus

L’ictus è una delle principali cause di disabilità nel mondo. Il recupero dopo un ictus può essere influenzato da diversi fattori, tra cui la gravità del danno cerebrale, l’età e le comorbidità;
per gravità del danno cerebrale intendiamo le dimensioni quantitative e qualitative della lesione, ovvero la vastità dell’estensione e quali aree specifiche sono state colpite; più è grande la lesione, più aree cerebrali saono coinvolte, meno possibilità ha il cervello di riorganizzarsi in modo adattivo; l’età avanzata è un altro fattore a sfavore della neuroplasticità;
altre patologie associate possono complicare e limitare il processo esperienziale che sta alla base della neuroplasticità;
Tuttavia, se pur influenzata da vari fattori, la plasticità cerebrale sembra avere un ruolo cruciale nel recupero funzionale post-ictus.
Vediamo come!

Meccanismi di plasticità neurale dopo un ictus

La plasticità cerebrale è la capacità del cervello di adattarsi e modificarsi in risposta a nuove esperienze e stimoli ambientali. Ciò significa che il cervello può riorganizzarsi per compensare la perdita di funzione causata dall’ictus e migliorare la capacità di elaborazione del movimento a lungo termine.
I meccanismi di plasticità cerebrale dopo un ictus includono la riorganizzazione del circuito neurale, la formazione di nuove sinapsi, l’attivazione dei neuroni dormienti, la rimozione dell’inibizione sinaptica e l’aumento della connettività inter-emisferica.

La plasticità corticale riguarda la parte più evoluta del nostro cervello, ovvero la corteccia cerebrale e che vede una riorganizzazione delle mappe corticali; la riorganizzazione delle mappe corticali e le abilità comportamentali sono strettamente intercorrelate;

Molti studi hanno dimostrato che la corteccia ha un’elevata capacità di cambiamenti plastici, strutturali e funzionali e che tutte le aree corticali sono plastiche per tutta la vita, per cui vi sono molte possibilità per la plasticità funzionale nel sistema neuromuscolare dell’uomo adulto (Dancause e Nudo, 2011).

La mancanza di informazioni sensitive, o un’alterata raccolta di informazioni sensitive, come può accadere dopo una lesione, porta al rimodellamento corticale e a una rappresentazione corticale distorta;
Huber e coll. Nel 2006 hanno dimostrato che basta un breve periodo di immobilizzazione perché avvengano modificazioni plastiche corticali. Nel loro studio l’immobilizzazione dell’arto superiore per 12 ore, ha indotto cambiamenti significativi nei potenziali evocati somato-sensitivi e nella loro ampiezza;

oggi sappiamo per certo che sia il “non uso” che l’immobilizzazione di un arto, inducono depressione corticomotoria, che si traduce in una ridotta attivazione delle aree motorie (Huber e coll. 2006; Avanzino e coll. 2011).
Tutto ciò indica la necessità di una precoce stimolazione sensitiva nei pazienti con lesione del SNC.

Ma cosa accade davvero nel cervello dopo un ictus?

Regioni del cervello lontane dalla lesione mostrano ridotta attività dopo una lesione cerebrale, a causa di varie alterazioni del metabolismo, del flusso sanguigno, dell’infiammazione, dell’edema e della eccitabilità neurale, particolarmente presenti nella fase acuta (Kleim, 2011). Questa condizione è chiamata “Diaschisi”.
L’attività di un’area distante, ma anatomicamente connessa con quella colpita dalla lesione, risulta depressa, a causa dell’interruzione comunicativa dell’area lesionata;

Si ritiene che parte del recupero funzionale spontaneo iniziale, sia dato dalla risoluzione della Diaschisi;

Normalmente i due emisferi cerebrali sono funzionalmente accoppiati e bilanciati; Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato che una lesione monolaterale, come quella causata da un ictus, può rompere questo equilibrio causando interazioni Interemisferiche competitive, che influenzano la plasticità dipendente dall’esperienza.
Nello stadio subacuto dopo un ictus, si è scoperto che nell’emisfero affetto, vicino alla sede della lesione si verifica una riduzione sia dell’eccitabilità della corteccia motoria che dell’area di rappresentazione corticale dei muscoli paretici.

Questo squilibrio tra i due emisferi è conosciuto come ipotesi della competizione interemisferica.
In questa ipotesi la perdita di tessuto neurale del lato colpito, porta a una ridotta inibizione Interemisferica da parte di quello stesso emisfero, spostando l’attivazione del comportamento sulla corteccia non danneggiata, il chè contribuisce forse a una riduzione delle potenzialità di recupero delle parti del corpo compromesse.
Per contrastare tale fenomeno sono stati utilizzati il blocco o la riduzione di questa plasticità maladattiva con delle tecniche di stimolazione cerebrale non invasive.
L’obiettivo del trattamento mediante stimolazione cerebrale non invasiva è ripristinare l’eccitabilità dell’emisfero lesionato e ridurre quindi l’iperattività di quello non lesionato.
Gli studiosi hanno dimostrato che 5 giorni di stimolazione cerebrale non invasiva somministrata a pazienti con ictus acuto per inibire l’emisfero controlaterale alla lesione, aumentavano le efferenze verso l’arto superiore paretico e incrementavano il recupero.
Questi riscontri suggeriscono che le interazioni competitive tra gli emisferi influenzano la plasticità dipendente dall’esperienza;
quindi, un’eccessiva eccitabilità dell’emisfero integro, che attivata all’uso eccessivo dell’arto sano, può inibire l’emisfero affetto attraverso un’inibizione interemisferica anormale.

Per prevenire questa plasticità maladattiva è necessario evitare l’uso eccessivo di movimenti compensatori, che possono limitare un autentico recupero motorio dopo un ictus.
In altre parole, l’uso compensatorio del lato integro del corpo può influire negativamente sul recupero del lato più compromesso;

La Riabilitazione Neurologica specialistica, ha quindi lo scopo, attraverso il comportamento esperienziale del paziente, di guidare in senso adattivo la neuroplasticità;

La diatriba tra recupero funzionale e compensazione

Il miglioramento funzionale nel cervello danneggiato si verifica grazie a due meccanismi:

  • il recupero
  • la compensazione Tuttavia i termini recupero e compensazione non sono ben definiti, né nella letteratura né in campo clinico; differenziare recupero da compensazione a livello nervoso e comportamentale è importante per distinguere tra plasticità neurale spontanea e cambiamenti funzionali stimolati e dipendenti dalla Riabilitazione. Levin e coll. Nel 2009, hanno proposto definizioni sia per il recupero che che per la compensazione, utilizzando il sistema Classificativo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): l’International Classification of Functioning (ICF), che differenzia tra:
    • Condizione di Salute (livello neurale)
    • Struttura e funzioni corporee (Prestazione)
    • Attività (Funzionale) per cui, il recupero e la compensazione possono essere compresi sia a livello nervoso che a livello comportamentale.
      La maggior parte dei ricercatori è daccordo sul primo punto, ovvero sulla definizione di recupero e compensazione a livello neuronale, ma non per i 2 domini del corpo e dell’attività. Molti studi utilizzano test funzionali o valutazioni delle capacità dei pazienti di svolgere attività della vita quotidiana come loro misure degli esiti, questi test però non misurano la qualità del movimento per cui non possono differenziare tra recupero dalla compromissione e recupero dovuto allo sviluppo di strategie compensatorie spontanee (Kitago e Krakauer, 2013); di conseguenza ciò può portare a interpretazioni disorientanti rispetto all’efficacia di differenti interventi terapeutici.

I Compensi Motori nel paziente emiplegico

Dopo una lesione del SNC, il cervello utilizza ciò che ha per riorganizzare il sistema sensitivo-motorio; impara ad utilizzare le informazioni sensitive in funzione del movimento, con altre modalità (Brodal, 2010); ricerca e trova altre strategie per assolvere un compito motorio, utilizzando movimenti e sequenze di movimenti alternativi; questo meccanismo, molto evidente in chi ha avuto un ictus, viene chiamato “Compensazione motoria” (Kleim, 2011); questi movimenti compensatori (detti più comunemente Compensi Motori), si osservano sia a livello prossimale del tronco e degli arti superiori, che degli arti inferiori;
a livello dell’arto superiore per es., per compensare a un deficit di movimento, durante il tentativo di muovere il braccio, spesso si osserva l’elevazione della scapola con associata abduzione della spalla e intrarotazione dell’articolazione gleno-omerale; a livello degli arti inferiori invece si osserva un maggior utilizzo del carico sull’arto conservato durante il compito di sedersi o alzarsi in stazione eretta; mentre durante il cammino spesso il paziente utilizza il sollevamento e la rotazione esterna dell’anca e il ginocchio teso, durante la fase di oscillazione;
questi sono sono gli esempi più comuni che si possono osservare, ma se ne possono creare tanti altri; Perchè questo accade? I Compensi motori si instaurano spontaneamente quando il paziente tenta di svolgere compiti funzionali precocemente; ovvero quando l’obiettivo è improntato sul conseguimento di un compito, ignorando il “come”viene affrontato e svolto; in una fase altamente riabilitativa, come quella acuta e sub-acuta, ignorare la qualità del movimento a discapito della riuscita a tutti i costi, porta il paziente a instaurare e solidificare i Compensi Motori. Tali Compensi Motori, che sembrano utili al momento per assolvere un dato compito, a lungo andare possono invece portare il paziente a ridurre le possibilità di miglioramento, rinforzando il meccanismo di plasticità maladattiva;

Tuttavia, ogni situazione va contestualizzata; agire da protocollo senza calarsi nella realtà del paziente si rischierebbe comunque di non perseguirne il “suo bene”; una visione allargata che comprende vari fattori, come i tempi di riabilitazione di cui si dispone, i bisogni del paziente e dei familiari, l’ambiente in cui è chiamato a vivere ecc.. sono aspetti che vanno sempre valutati e che possono incidere sulle decisioni da prendere; a volte è necessario trovare il giusto compromesso tra corretta riabilitazione e bisogno di autonomia;

Neuroplasticita’ maladattiva: la Riabilitazione fa sempre bene?

Abbiamo visto come la ricerca scientifica ha dimostrato cosa accade al sistema neurale subito dopo un ictus e anche che per la sua riorganizzazione esiste una forte connessione tra il comportamento esperienziale adottato e la modificabilità della struttura del cervello dopo lesioni del sistema nervoso centrale, determinandone la quantità e qualità del possibile cambiamento.
Abbiamo visto che spontaneamente, i meccanismi di neuroplasticità dopo una lesione, volgerebbe in senso compensatorio e maladattivo, iperattivando il lato conservato e penalizzando quello colpito a sfavore del recupero; In questo frangente il pensiero comune dei familiari e del paziente stesso che ha subito una lesione del SNC, è quella di fare Riabilitazione in quantità sempre e comunque, affidandosi a un terapista sena assicurarsi che abbia perseguito la formazione specialistica del caso, quindi ignorando completamente l’importanza della QUALITA’ dell’intervento;
Infatti anche anche un training eccessivo, non calibrato e graduato, quindi non guidato in modo appropriato alle capacità del momento del paziente, può spingere la Neuroplasticità in direzione indesiderata, ovvero maladattiva; una neuroplasticità lasciata libera di organizzarsi o non guidata correttamente con sapienza, porta a una riorganizzazione del cervello maladattiva e può contribuire alla patogenesi di dolore, iperreflessia, clonìe (Cramer e coll., 2012), ipertono, reazioni associate, nonché l’attivazione di proiezioni motorie sul lato conservato, che portano il paziente a indebolire la funzione motoria e ben lontano dal recupero di abilità e autonomie (Takeuchi e Izumi, 2012);

Un’altra condizione può influenzare in modo importante la Neuroplasticità, ovvero il sonno!
Pare che molti processi di rimodellamento neurale avvengano durante il sonno e possano avere un effetto positivo sul recupero;
Per cui è fondamentale spiegare a pazienti e familiari che le fasi di riposo sono importanti quanto quelle di lavoro; incoraggiare il sonno tra sessioni di terapia e attività, favorisce il consolidamento della memoria e quindi dell’apprendimento;

Il non uso appreso

Si è ipotizzato che ripetuti tentativi falliti di usare l’arto affetto siano alla base di un peggioramento del danno da

non uso appreso;

ciò si riferisce a condizioni in cui un ridotto controllo motorio porta un’ulteriore inattività dell’arto colpito, per esempio, un ridotto controllo del braccio affetto nella emiplegia può condurre a strategie compensatorie con le quali un paziente utilizza esclusivamente il braccio conservato per compensare il deficit funzionale nell’arto paretico;

il braccio paretico non viene quindi mai utilizzato, con conseguente restringimento dell’aria di rappresentazione della mappa motoria nell’emisfero lesionato;
Ciò predispone ad alterazioni secondarie dei muscoli e dei tessuti molli;
al tempo stesso, l’arto conservato viene usato più del normale, per cui la sua mappa motoria aumenta di dimensioni;

quindi l’esperienza (o la mancata esperienza) influisce sulle rappresentazioni corticali dell’area motoria primaria durante il primo stadio di recupero spontaneo;
il non uso appreso può anche contribuire allo squilibrio Inter emisferico (Takeuchi e Izumi, 2012).

Come l’apprendimento motorio influisce sulla Neuroplasticità

La neuroplasticità non può essere spiegata senza prima comprendere i modi in cui si verifica l’apprendimento nel cervello non lesionato.
Il sistema motorio umano ha la capacità di apprendere attraverso la pratica e l’esperienza.
Quando il cervello impara a compiere un movimento, costruisce un’associazione tra comandi motori e feedback sensitivi.

Il risultato di tale apprendimento è un modello interno di un dato compito, che viene usato per prevedere le conseguenze sensitive dell’azione autogenerata.
L’apprendimento motorio può essere ridefinito come lo sviluppo di modelli interni che rappresentano un esatto abbinamento tra informazioni sensitive percepite e informazioni motorie.

Lo schema di movimento sarà memorizzato dopo essere stato appreso e sarà richiamato alla memoria per essere utilizzato nel contesto appropriato.
Si ritiene che l’apprendimento e la costruzione di questi modelli interni facciano affidamento su segnali di errore basati sul feedback proveniente dalla prima esecuzione.

L’importanza del concetto dei modelli interni nella riabilitazione e che il modello può essere aggiornato e modellato in base all’esperienza motoria proposta;
Pertanto, la riabilitazione deve mettere l’accento su tecniche che promuovano la creazione di modelli interni appropriati e non solo sulla ripetizione dei movimenti.

L’apprendimento motorio è un termine senza una definizione universalmente accettata; Gli studiosi Lee e Schimdt (2008) descrivono l’apprendimento motorio come il processo con cui la capacità di controllo motorio specializzato viene rappresentato nella memoria. La memoria motoria è il prodotto dell’apprendimento. L’apprendimento motorio comprende in realtà due tipi distinti di apprendimento motorio:

  • Adattamento motorio → è il processo di adeguare un movimento a nuove richieste attraverso una pratica (Bastian, 2008) ed è una componente imprescindibile dell’acquisizione di abilità motorie; comprende la flessibilità di sapersi di prevedere l’errore adattandosi ai cambiamenti che la richiesta del compito determina; così che gli schemi appresi possano poi essere trasferiti e generalizzati in situazioni differenti;
  • Acquisizioni di abilità → è data dai miglioramenti della prestazione nel tempo; ovvero il processo con cui movimenti singoli, o sequenze di movimenti, arrivano ad essere eseguiti, attraverso l’esercizio ripetuto e l’interazione con l’ambiente, senza sforzo (Doyon e Benali, 2005); Apprendimento motorio e funzioni cognitive: l’attenzione, funzione regina per l’apprendimento Come abbiamo già premesso, la capacità di apprendere e quindi la plasticità cerebrale è determinata da vari fattori, tra cui la sede e la vastità della lesione;
    una vasta lesione cerebrale, solitamente vede compromesse anche varie funzioni cognitive, tra cui in primis l’attenzione! L’incapacità di focalizzare l’attenzione sull’esercizio terapeutico proposto o comunque avere una tenuta attentiva precocemente esauribile, determina una ridotta capacità di apprendimento;
    ovviamente anche altri deficit cognitivi, come il deficit di memoria, l’aprassia, il neglect, una scarsa consapevolezza dei propri limiti ecc.. possono risultare un ostacolo a nuovi apprendimenti; tuttavia, quando è presente un deficit attentivo importante, questo può veder peggiorate anche le altre funzioni cognitive;
    Tuttavia già nella fase sub-acuta, si può osservare un miglioramento del quadro cognitivo generale, conseguente a un buon training attentivo; Ruolo dell’esperienza riabilitativa nella promozione della Neuroplasticità e del recupero funzionale L’obiettivo della riabilitazione neurologica è minimizzare la disabilità funzionale e ottimizzare il recupero motorio funzionale; Abbiamo visto come il cervello umano abbia una grande capacità di apprendere e come l’apprendimento possa portare a cambiamenti strutturali e funzionali in un cervello, sia sano che lesionato;

Tuttavia abbiamo anche visto che nel caso di un cervello che ha subito una lesione, come nell’esempio dell’ictus, si nascondano anche molte insidie, che se non sapientemente gestite, possono sfavorire il recupero delle autonomie;

L’evidenza di un esercizio appropriato e ripetuto che produce l’acquisizione di abilità motorie come risultato di cambiamenti nella struttura e nella funzione delle cellule nervose è ormai convincente (Richards e coll., 2008);

il miglioramento funzionale dopo una lesione del sistema nervoso centrale è un processo di apprendimento: tramite la riabilitazione i pazienti, che hanno subito una lesione sono incoraggiati attraverso la pratica a cercare di riacquisire la capacità di produrre certi comportamenti.

Un Terapista specializzato nella Riabilitazione neurologica, è in grado, dopo attenta valutazione, di individuare le strategie facilitatorie per favorire l’apprendimento motorio e quindi l’apprendimento di nuove abilità e autonomie; lo fa attraverso l’esercizio guidato facilitato e graduato nel tempo in base ai cambiamenti ottenuti, stimolando e mantenendo elevata la collaborazione del paziente;

Per ottimizzare e potenziare al massimo la plasticità del cervello, diventa fondamentale un intervento riabilitativo interdisciplinare tra le principali figure della Riabilitazione; ovvero Neurologo, Fisioterapista, Terapista Occupazionale e Logopedista possono dare un prezioso contributo nel gettare le basi per nuove acquisizioni e abilità;